Un nuovo progetto da ieri trasforma, in meglio, un frequentatissimo angolo di Milano: piazza Santa Maria del Suffragio, su corso XXII Marzo. Qui ha aperto non un ristorante con chef di fama, non una boutique del cibo, ma il primo mercato comunale con cucina. La sua storia? Il Comune, due anni fa, lanciò un bando per far ripartire il mercato decaduto. Decadenza che il quartiere non meritava: qui di fronte Marchesi aprì il primo ristorante; accanto i fratelli Solci facevano cultura del vino dagli anni ’50; fino al 1965 qui sorgeva una cittadella commerciale. Il progetto vincente è di Davide Longoni, panettiere purista e imprenditore. Porta l’idea di un mercato contemporaneo: pane, pizza, frutta, ortaggi, gelato, vino e pesce. Niente carne. Quattro banchi con tavolini centrali, ed esterni e in veranda, aperti dall’ora di colazione sino alle 23. Longoni ha operato una selezione con il metodo delle affinità elettive e gustative. Per esempio, scegliendo una bocconiana con master in economia. È Erika Fumagalli, dal 2009 nell’azienda di famiglia, la Fumagalli Danilo srl, storica bottega di ortofrutta in Brianza. Che valorizza le produzioni locali, dal Parco del Curone. «La mia è ortogastronomia», dice Erika. Al banco, zucca all’aglio nero, carote nere, germogli prodotti localmente, marmellate e confetture artigianali, legumi, bacche di goji, semi di chia, açai e l’alga spirulina. Si assaggiano ortaggi al vapore, saltati, macedonie, zuppe, centrifughe, estratti e frullati. Ogni giorno tre piatti caldi a rotazione, sempre a base vegetale. Dal banco di Roberto Ghezzi, fondatore del marchio Schooner (garanzia per il pesce d’altura e la lavorazione di prodotti del mare), tutto si può acquistare pulito, fresco o cucinato. Cibi da intenditori: come il fegato di pescatrice rosato, in olio di ottima qualità. «Sa perché ha questo colore? Perché si nutrono solo di crostacei», dice Ghezzi. L’incontro di Davide Longoni con il suo mentore Eugenio Pol lo porta alla beatificazione del pane artigianale: il segreto sono i grani antichi, il lievito madre, sale integrale, farine macinate a pietra, grandi formati. Ma la vera novità sarà la pizza: tonda e alla pala, nell’interpretazione di Fabio Venturini, giovane pizzaiolo di Spoleto. Per l’angolo caffetteria, Longoni sceglie due miscele: un’arabica e un decaffeinato di Lady Café, torrefazione di Massimo Bonini, che tosta il caffè con il metodo a torcia. Oreste Pietroni e William Legati, con il cuoco Roberto Andreoni, sono i fondatori di Cool Gelateria Naturale: qui fanno rivivere, oltre al gelato, il concetto di antica latteria, con formaggi e salumi a peso. L’accordo con il Comune (al taglio del nastro c’era l’assessore Franco D’Alfonso) prevede iniziative con artisti del quartiere, il Fai, lo Ied, la parrocchia, il consiglio di zona.
A Tavola
A quasi un anno dall’apertura si può fare un bilancio della bottega con cucina dal nome colto, Platina (via Lecco 18, tel. 02.29.52.27.11), il regno della pasta fresca e ripiena. Padre e figlio di sangue sardo — il primo ai fornelli, il secondo in sala e bottega — da soli sanno togliere la voglia di tortelli e ravioli dai ripieni classici e non. Ma la vera scoperta sono gli spaghettoni alla chitarra alla carbonara, o aromatizzati al prezzemolo e conditi con vongole; piatti che per tecnica, gusto ed equilibrio fanno impallidire molti omonimi usciti dalle cucine degli stellati. Il locale è sempre aperto e un pasto costa 25 euro.
Tradizioni.
Artigianale, vegano, creativo, perfino salato: come scegliere
Il panettone sta vivendo la sua età migliore: stimato, rivalutato a ogni fascia della giornata e in mesi lontani dal Natale. Le certezze, per quest’anno, sono quattro: il panettone ha perso la sua milanocentricità (tanto è vero che la kermesse Re Panettone ha premiato un pasticcere della Costiera Amalfitana, Salvatore De Riso); il consumatore comincia a capire la differenza tra l’artigianale e quello per la grande distribuzione (da circa 30 euro al chilo ai 3 del supermercato); il panettone si compra anche al ristorante; salgono le quotazioni dei panettoni salati. Ecco alcuni tra i migliori che abbiamo assaggiato a Milano e dintorni. Vergani, l’unica azienda che ancora produce in città, ha aperto da qualche giorno la seconda bottega-caffetteria per degustarlo, in corso di Porta Romana 51 (con un corner della gelateria Marchetti per offrirlo anche in versione gelata). La novità, a parte il panettone tradizionale (con un lussuoso burro CharentesPoitou), che spicca per bontà e autorevolezza, è la versione vegana con olio extravergine d’oliva e bacche di vaniglia Bourbon del Madagascar. Sulla scia dei «naturali», i panettoni Evvivo (da Eat’s Excelsior) all’olio, senza lattosio, oppure al burro fresco di cascina o più creativo ai mirtilli rossi e bacche di goji. La variante dell’oste-cuoco Filippo La Mantia, in vendita nel suo ristorante in piazza Risorgimento, racchiude il Mediterraneo, con cous cous al cacao amaro, glassa all’arancia, uva zibibbo al passito di Pantelleria e frutta candita (30 euro al kg). Claudio Sadler, dall’alto delle due stelle Michelin, li acquista da un rivenditore di alta gamma di Riccione; oltre al classico, ha scelto una variante alla vodka Wood e gocce di cioccolato (28 euro). Il siciliano Emanuele Vitrano, proprietario dell’hotel Carlyle Brera, ha scelto un panettone creato dal pasticcere più famoso di Sicilia, Nicola Fiasconaro. Che ha riscoperto la manna, linfa dolce estratta dal frassino (28 euro kg).
A Tavola
Il luccichio del mogano trascina il commensale nella chiglia rovesciata di un immaginario gigantesco motoscafo Riva. Al pianterreno, lo store Replay, sopra il ristorante The Stage (piazza Gae Aulenti 4, tel.02.63793539). Il bar è un gioiello dove impera il mixologist blasonato Francesco Cione. La cucina è in mano al napoletano Angelo Mancuso e va sempre migliorando. Meritano il risotto limone vaniglia e scampo; la ricciola con provola affumicata, pomodorini e leche di basilico. Accanto ai piatti «tradizionali», le suggestioni peruviana e giapponese sembrano vincenti. Da 80 euro.
A Tavola
Basta un’occhiata ai tortelli di borragine ripieni di caprino, in brodetto di finocchio, o al cannolo con crema di formaggio, lenticchie e cioccolato bianco, per capire che la 37enne Katia Maccari è cuoca di valore. Sarà per tutto dicembre a Palazzo Parigi (corso Porta Nuova 1, tel. 02.62.56.25): lascia temporaneamente il ristorante una stella Michelin Salotti del Patriarca a Chiusi per portare la filosofia toscana nell’hotel che ha visto all’opera Carlo Cracco e Luigi Taglienti. Alle cene dell’11, 12 e 19 dicembre, grandi vini Barberani, Podere Forte e Casanova di Neri. Maccari firma anche i pranzi di Natale e Capodanno. Da 90 euro.
Nei giorni scorsi l’agriturismo Cascina Loghetto ha ospitato la prima conviviale ufficiale del tortello cremasco organizzata dall’omonima confraternita. Il gran consiglio è formato dal presidente Roberta Schira e da Gianni Bolzoni, Franco Bozzi e Marta Guerini Rocco. I soci sono Diego Aiolfi, Carlo Barbaglio, Fiorenza Campari, Alessandro Patrini, Francesco Cremonesi, Flaminia Rossi, Franco Dedè, Pia Gobbato, Anna Maria Mariani e O t t a- via Volpi, quelli onorari Franca Aiolfi, Ines Stabilini, Amilcare Cazzamalli, Franco Bozzi e Antonio Bozzo.
A Tavola
Gli etnici hanno sempre quell’aria un po’ artefatta, come i fiori finti. Savana (via Canonica 45, tel. 366.40.73.136), il nuovo eritreo ai bordi di Chinatown, no. Non per l’arredo o la nazionalità del cuoco africano, ma per una questione di sapori. Pochi piatti e corretti. Il sambusa, fagottino ripieno di carne o verdura, è croccante e profumato di spezie. Lo zighini è un succulento piatto unico a base di carne di manzo, erbette, patate, cous cous, lenticchie rosse, uova sode. Si mangia con le mani aiutandosi con ingera, il pane sottile e morbido preparato ogni giorno. Si termina con tè alla cannella. 25 euro in media.
Dal tiramisù affumicato alle torte cioccolato e gorgonzola.
Mentre una parte del mondo demonizza carne e zucchero bianco, forse con troppa fretta considerati veleni, l’altra continua a consumare costolette e bignè. E Milano incarna bene le due facce. Verso le feste impazza il sapore dolce, si preparano nuove aperture. A chi non piacerebbe gustarsi, con forchette e coltello, un menu a base di dessert anziché consumare mezza fetta di Saint Honoré al bancone? Si potrà fare dalla settimana prossima a Brera. Al Tiramisù Delishoes, primo «Fashion Dessert Restaurant» d’Italia. Ci si tirerà su di morale con una pralina o vendendoci un paio di scarpe o accessori di moda. La novità, ideata da Antonio Carstulovich, si ispira a Espai Sucre di Barcellona, celebre «spazio zucchero» degli chef pasticceri Jordi Butròn e Xano Saguer, primo ristorante al mondo dedicato al più amato dei cinque sapori. Da gustare al piatto: panna cotta speziata al limone con rucola e yogurt, plumcake di carota con mousse di cocco e sorbetto all’arancia. Il bello sarà verificare come se la caveranno con i fondamentali della cucina italiana virati in dolce; mostri sacri come la cotoletta, il vitello tonnato, lo spaghetto al pomodoro, accompagnati da un crumble speziato, un gelato alla cipolla, un chutney di pomodoro e pesto. Un luogo per chi ama sperimentare. Ernst Knam, il più milanese dei pasticceri tedeschi, è anche cuoco, cioccolatiere e volto Sky. Ha appena rinnovato la sua famosa pasticceria in via Anfossi e lanciato la nuova linea di torte Extreme. La parte design è dell’architetto Lorenzo Palmieri, che ha giocato con legno di noce e suggestioni di viaggio, pittoriche e teatrali. Niente barocchismi. Le torte di Knam sono pulite, essenziali, pura geometricità in un continuo rimbalzare tra forma e contenuto. Estrema e lunghissima sul palato e nel cuore l’emozione che provocano. Il consiglio è lasciarsi condurre dal colore. Verde? Cioccolato Uganda, gorgonzola, assenzio. Rosa? Cioccolato, pompelmo rosa e pepe nepalese di timut. Viola? Cioccolato bianco, mirtilli selvatici e limoni neri dell’Oman. «Assaggiare è viaggiare senza muoversi. Assaporare ingredienti e prodotti, porta all’altro capo del mondo. Questo offro nella mia pasticceria». C’è chi, invece di ampliarsi, raddoppia. Non c’è milanese goloso che non conosca la storica pasticceria Martesana di Vincenzo Santoro, nata nel 1966. «Volevamo una vera boutique: grandi vetrine a pianterreno, sala da tè e spazio per eventi. Dal 29 novembre sarò io ad accogliervi nella Martesana Boutique, in via Paolo Sarpi», dice la figlia di Santoro, Manuela. Alla regia, Davide Comaschi, campione mondiale di cioccolateria nel 2013 con il Galaxy, spettacolare pralina triangolare che proporrà farcita in varianti infinite. Non si dorme la notte in laboratorio per la nuova apertura, più della prima Martesana (che resta) dedicata al cioccolato. E Comaschi non dorme neppure per l’altra sfida: la preparazione del prestigioso Salon du Chocolat che si terrà in febbraio per la prima volta a Milano. Città che si conferma sempre più dolce.
Filippo La Mantia, tra i protagonisti più corteggiati della scena gastronomica milanese, è anche paladino delle cene di beneficenza (che Milano, città anglofila, chiama charity dinner). Da un anno scarso, lo chef palermitano che ha il vezzo di definirsi «oste e cuoco» ha preso in mano le redini dell’ex Gold di Dolce e Gabbana, in piazza Risorgimento, diventato grazie a lui uno dei ristoranti di maggior successo della città. È La Mantia che imbandisce la cena benefica di domani sera allo StarHotels Rosa Grand di piazza Fontana, organizzata da Food&Life per Weworld Onlus, in favore dei bambini terremotati del Nepal e per una scuola materna in uno dei quartieri più disagiati di Palermo. Alla serata, asta e lotteria benefiche condotte dalla giornalista e volto noto della tv Francesca Senette, da dieci anni ambasciatrice di Weworld. Che cosa arriverà in tavola? Piatti siciliani (senza aglio e cipolla) di cui La Mantia è ambasciatore in Italia e nel mondo. Ai tavoli, regine delle food blogger come Chiara Maci e Csaba Dalla Zorza (ore 20.30, e 90, tel. 02.76.31.7984).
A Tavola
L’Osteria della Conchetta (via Conchetta 8, tel. 02.8372917) non è certo una novità, ma a volte urge monitorare le vecchie insegne, specie se cambiano gestione. In cucina, accanto ai piatti milanesi qualche volo pindarico, ma noi consigliamo il mangiare meneghino: brasato, cassoeula, nervetti e ossobuco, risotto al barolo e riso al salto. Su tutto, la costoletta, che pur essendo «a orecchia d’elefante» conserva morbidezza e l’osso. Di giorno il locale è caoticamente affollato per pranzi di lavoro, la sera acquista un’aura più romantica. Il mercoledì: bollito misto al carrello. Trenta euro circa.