«I buoni giudici della natura umana sono i dentisti e i baristi: i primi aiutano ad alleviare il dolore, i secondi alleviano l’infelicità». Nulla è cambiato da quando lo scrittore Godfried Bomans pronunciò questa frase intorno a Rick (Humphrey Bogart), protagonista del film «Casablanca». I barman sono e rimangono i confessori della fauna che popola le notti metropolitane. Ora sono belli, giovani, internazionali e talentuosi. Decidono che cosa beve una città e come. I curatori d’anime del crepuscolo si chiamano bartender, esperti del mixologist, l’arte del bere miscelato. Sanno farti parlare o stare zitti da dietro il bancone, invece che davanti al lettino come gli psicoanalisti.
La data da ricordare è il 1862, anno di pubblicazione della bibbia del settore «Bartender’s Guide», scritta dal maestro di tutti i baristi, Jerry Thomas. Fu lui a codificare i primi 10 cocktail che poi diventeranno i classici. Gli antenati della maggior parte dei drink di oggi, perché come in cucina, prima di dimostrare che sei un fuoriclasse, devi conoscere alla perfezione le basi. In questo mondo, tutti gli occhi guardano a Londra, da lì nascono tutte le tendenze e, non per caso, molti dei bartender più acclamati sono di origine italiana. Come Luca Cinalli, che lavora a The Nightjar, considerato uno dei primi tre bar al mondo, creato sul modello degli Speakeasy, i locali nati in America durante il Proibizionismo, dove si entra con la parola d’ordine. Anche a Milano ci sono locali di questo genere, come il «1930», dove tutto è improntato a quegli anni, dall’arredo ai bicchieri. Per arrivarci devi passare dal Mag Café e sperare di essere simpatico, lì potrai avere accesso al locale segreto.
Al nuovissimo Botanical Club, la prima distilleria con cucina gourmet a Milano e forse in Europa, la bartender è donna. Katerina Logvinova è nata a Samara, sulle rive del Volga, due lauree e la gavetta nei locali di Milano che fanno scuola: il Mag, il Julep’s e l’Ego. «Il Botanical Club all’Isola», dice uno dei soci, Alessandro Longhin, «è un progetto unico, abbiamo deciso di installare un primo alambicco Big Charlie, dell’artigiano toscano Frilli, dentro la nostra cucina a vista. A luglio cominceremo a distillare i primi gin: il sogno fra un paio di anni è uscire con il nostro brand di gin. Per ora, ci divertiamo con cento etichette da tutto il mondo». Dice Kate: «Essere un bravo bartender non vuol dire conoscere tutti i drink a memoria né inventarne di nuovi. Significa saper interpretare l’umore di chi si ha di fronte, servirlo al meglio e farlo sentire a proprio agio».
Una delle realtà più interessanti a Milano è Drinkable, società di consulenza che organizza e gestisce party e detta la tendenza in tutta la città, nata da un’idea di Alessandro Melis e Francesco Pierluigi. «Il senso dell’ospitalità è la parola d’ordine, seguita da accoglienza e cura dei dettagli», dice Giaime Mauri, uno dei partner di Drinkable, attualmente alla Langosteria 10 Fish Bar di via Tortona. «Le nuove tendenze partono dalla qualità. La gente vuole cibo fresco, gustoso e ben lavorato. L’ultimo successo è una coppa di champagne Veuve Clicquot con sottilissime strisce di peperone crudo e ghiaccio. Perfetto per un posto all’aperto come questo».
Al Ceresio 7, i cocktail si bevono intorno alle due piscine. Dice Dario Gentile, l’unico bartender milanese che sa parlare cinese: «La gente vuole sempre novità e ora, accanto al gin tonic e agli altri classici, proponiamo drink con infusioni o spezie come il Twilight by The Pool, a base di vodka allo zafferano, pompelmo e polvere di agrumi. E siamo forti anche con gli analcolici: il Berry Field, succo di mango, frutti e purea fresca di fragole, spopola».
Tra gli indirizzi obbligatori, il Trussardi Café in piazza Scala, dove regnano Fabio Poggi e Luca Cinacchi: al banco con cocktail sempre nuovi, infusioni di fiori e centrifugati di frutta fresca, finanzieri, avvocati e ladies scintillanti. Gli «yuccies», come vengono chiamati i nuovi creativi metropolitani, vanno da Otto in Paolo Sarpi: l’ambiente è internazionale e sui tavoli sono sparsi «Le Figaro» e l’«Herald Tribune». Peccato che il gin tonic qui si faccia con l’acqua tonica alla spina.